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Gabriele De Sario. La libertà dopo le violenze psicologiche.

Gabriele e suo fratello da bambini vengono abusati psicologicamente dalla madre che, divorziata dal marito, decide di separare i suoi figli dal padre convincendoli – secondo quanto raccontato Gabriele – ad accusarlo di violenze sessuali nei loro confronti.

I criminologi fanno rientrare situazioni di questo tipo nel contesto della “Sindrome di Alienazione Genitoriale” caratterizzata dalla costruzione di un rapporto tutto particolare tra madre – in questo caso – e figlio/i con la conseguente esclusione e colpevolizzazione dell’altro genitore.

La violenza psicologica in ambito familiare permette a chi la compie di manipolare la vittima mantenendo la propria posizione di potere su di essa fino al punto di toglierle anche la voglia di vivere: Gabriele ha ammesso di aver provato in diverse occasioni il desiderio di suicidarsi.

In questa condizione egli ha dovuto costruire la sua adolescenza e la sua vita sociale. Ha ammesso di essere stato spesso deriso e picchiato dai suoi compagni di scuola perché in sovrappeso e poi sottomesso psicologicamente dalla madre mediante punizioni, lavori in casa, bugie continue, fiducia mal riposta e così via.

Secondo i ricercatori, statisticamente parlando, nella maggior parte dei casi il genitore attivo (alienante) è la madre e la vittima è il bambino, in genere di età compresa tra 1 e 10 anni. La condizione di confusione che si genera nella mente e nel cuore di un figlio violentato psicologicamente da una figura fondamentale come quella materna ostacola la costruzione della personalità del bambino che cresce nell’indefinitezza delle relazioni sociali. Il “sé” rimane provato, se non lacerato, da un rapporto familiare che dovrebbe costituire la base della crescita e della felicità della persona, ma che invece potrebbe essere la fonte della propria rovina.

Le conseguenze possono essere diverse: adulti deviati o disadattati, addirittura futuri abusatori dei propri figli.

Per Gabriele, però, non è stato così. La sua “salvezza” è stata la comunità, nella quale il giudice lo aveva mandato, dove gli educatori lo hanno aiutato a vedere il suo rapporto con la madre da un’altra prospettiva e ad ottenere la capacità e il coraggio di edificare la propria vita sulla base delle proprie scelte.

Per leggere il memoriale scritto da Gabriele cliccare qui.

Angela Rinaldi

CCP Research Assistant